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Materiali di lavoro - n° 1 - Giugno 2002

Centri di informazione e documentazione europea in Emilia Romagna

A cura di Ciro Avolio

Copertina del testo

Piano dell'opera

  • Prefazione
  • Centri di Documentazione Europea
  • Info Point Europa
  • Euro Info Centres
  • Centri di Informazione e Animazione rurale
  • Centri d'Innovazione Imprenditoriale
  • Punti Europa
  • Business Cooperation Network
  • Bureaux de Rapprochement des Entreprises
  • Eures
  • Eurodesk
  • Innovation Relay Centres
  • Organizzazioni per la promozione delle tecnologie energetiche
  • Comitati Provinciali per l'euro
  • Osservatori Provinciali Eurologo
  • Altri Centri
  • Pubbliche Amministrazioni
  • Glossario delle istituzioni europee
  • Links utili

Presentazione

Dal punto di vista teorico, esiste oggi un rinnovato fermento nel settore dell'informazione europea. Nel corso degli anni '90, infatti, la Commissione, promotrice originaria delle tipologie più diffuse di centri informativi, aveva diluito il suo impegno sul fronte della creazione di tali centri, nell'attesa che altri attori assumessero in questo ambito responsabilità di rilievo sulla scorta del nuovo concetto di sussidiarietà.

In questo contesto erano da inserirsi le iniziative di Francia, Portogallo e Italia che portavano alla creazione di tre centri informativi europei a livello nazionale (Sources d'Europe a Parigi, il Centro Jacques Delors a Lisbona e il Centro di Informazione e Documentazione sull'Europa a Roma). Allo stesso tempo, a seguito del Trattato di Maastricht, l'Unione Europea approfondiva il suo impegno sul fronte della trasparenza delle proprie attività e dell'accessibilità dei propri atti, considerando questi aspetti come elementi cruciali di un auspicato aumento di democraticità del proprio sistema di governo.

Dopo un lungo periodo di silenzio, la Commissione ha reso pubblico nel giugno del 2001 un Libro Bianco sull'informazione europea dove questa era descritta come strumento strategico della governance europea. In poche parole, sulla scorta delle più avanzate analisi politologiche, la Commissione riteneva che l'informazione fosse uno snodo cruciale del processo di legittimazione democratica dell'Unione. L'informazione, si diceva, è il primo passo della partecipazione politica dei cittadini alla vita della Comunità. La necessità di una "educazione civica europea", finalizzata alla diffusione capillare della conoscenza dell'Unione Europea in tutti i suoi aspetti è stata ribadita dalla Rappresentanza italiana della Commissione europea nel "Rapporto Italia", reso pubblico nell'ottobre del 2001.

In presenza di un materiale documentario di difficile lettura a causa della sua (sterminata) mole e dei suoi tecnicismi, la trasparenza che le istituzioni comunitarie si sono sforzate di perseguire non sembra bastare da sola a favorire questa "educazione". Occorrono dei luoghi di riferimento (materiale e simbolico) per rendere leggibile l'Unione, dando l'opportunità, a tutti coloro che lo vogliano, di partecipare concretamente al processo di integrazione.

Da un punto di vista pratico, siamo stati spinti da un "impeto classificatorio". Volevamo dar conto in un'unica brochure dell'ormai ampia gamma di servizi di informazione europea presenti in regione evidenziando, nel far ciò, che il loro obiettivo comune di fondo non era ed è solo quello di informare i cittadini sulle opportunità di finanziamento offerte dall'UE, ma anche, e soprattutto, quello di portare l'Europa in regione, rendendola una realtà non solo accessibile, ma viva e palpitante.

Ci pareva che, da questo punto di vista, l'indagine avviata nel 1999, con rigore formale e intelligenza d'analisi, dal Ministero per le Politiche comunitarie, non rendesse giustizia della complessa realtà dell'Emilia Romagna, che vi era rappresentata con un numero assai esiguo di centri informativi.

Il desiderio di fotografare in modo quanto più possibile aderente alla realtà la situazione, dando la possibilità ad ogni centro informativo di esprimere anche ciò che non potesse essere racchiuso in griglie determinate, ci ha spinto a imboccare una strada inconsueta e "pericolosa", quella dell'autodefinizione. Abbiamo, cioè, preferito lasciare ad ognuno la libertà di definire, informalmente, le proprie funzioni e le proprie attività. Sarebbe poi stata premura del curatore omogeneizzare le risposte fornite sulla base di semplici criteri formali. Questa impostazione ha rappresentato, come accennato, un punto di forza e, al tempo stesso, una debolezza della ricerca condotta. Ci ha permesso, infatti, di recensire oltre cinquanta centri, cogliendo una inattesa ricchezza regionale, ma ci ha posto, d'altra parte, davanti alla frequente necessità di intervenire (pesantemente), e ce ne scusiamo fin d'ora, con i responsabili dei centri, nelle autodefinizioni inviateci, al fine di evitare un' eccessiva difformità all'interno delle singole categorie.

Nell'unire la pratica alla teoria, ci auguriamo che questa prima ricognizione sia l'occasione non solo per tracciare una mappa dei centri divisi per tipologia, così da renderli più accessibili ai cittadini, ma per favorirne la specializzazione e la complementarietà, sulla base di un obiettivo comune: avvicinare l'Europa ai cittadini.

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