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[Gli atti del convegno sono stati pubblicati e sono disponibili presso il Punto Europa]
Sala Gandolfi, Palazzo Orsi Mangelli
venerdì 16 novembre 2001
L'Unione europea è, dal punto di vista istituzionale, una realtà unica e, per così dire, rivoluzionaria. Le caratteristiche che la configurano ne fanno un "animale strano": essa non è (solo) un'organizzazione internazionale e neppure è, né vuol essere, un super stato. Oltre a queste ambiguità strutturali, il sistema di governo dell'Unione è in continuo cambiamento, per la necessità di adattarsi alle nuove sfide provenienti dal sistema mondo e dal mutare stesso della propria natura e confini.
Il sistema di governo dell'Unione Europea è spesso chiamato ad assolvere compiti in apparente contraddizione fra loro. Ad esempio, quelli dell'efficacia decisionale da una parte e del rispetto delle garanzie di partecipazione democratica dei cittadini alla vita istituzionale dall'altra. Si è, infatti, portati a ritenere che l'efficacia decisionale, specie in tempi di decisioni attinenti campi tecnologicamente avanzati, possa esser meglio garantita da un pool di funzionari esperti e di politici decisionisti, che non da una pletore di istituzioni democraticamente rappresentative. Ciò è errato, per diversi motivi. Come dimostra Amartya Sen per l'economia, non esistono soluzioni puramente tecniche a questioni politiche (e tutte le questioni che coinvolgono la vita dei cittadini, dall'ambiente all'economia, sono politiche) e dietro ad ogni soluzione tecnica esiste un assunto politico. L'efficacia di una decisione, inoltre, dato che in Europa viene misurata sulla base dell'attuazione reale di una politica sul territorio (un territorio che, nell'UE più che nei sistemi nazionali, è lontano dal centro decisionale e quindi poco controllabile), non può essere reale a meno che l'avvedutezza di questa decisione non sia condivisa da chi la deve mettere in pratica.
E' noto infatti che, più uno stato, e i suoi cittadini, vedono "cadere dall'alto" ciò che vien fatto a Bruxelles (in primis, le direttive e i regolamenti che l'UE emana), meno sarà disposto ad adeguarvisi. Un caso tipo è l'Italia, che, pur avendo risalito la china delle classifiche riguardanti le inadempienze nei confronti della normativa comunitaria, si attesta sempre su posizioni da fanalino di coda.
Il perché ha molteplici cause, che non è qui il caso di indagare.
Ci basta riflettere sul fatto che due di esse hanno a che fare con l'informazione.
Da una parte, il linguaggio di Bruxelles è ostico e gli
atti approvati non sempre di facile reperibilità. Dall'altro
esiste un problema più profondo, anche questa volta esemplificato
dal caso italiano: è difficile
partecipare alla "fase ascendente" delle decisioni comunitarie,
là dove, raccogliendo le esigenze della società civile
e dei gruppi economici, gli spunti per la normativa comunitaria maturano
e vengono veicolati a Bruxelles.
Per venir incontro a queste due debolezze
l'Unione si è mossa su
due fronti: da un lato, nel campo della trasparenza, a partire dalla
dichiarazione allegata al Trattato sull'Unione Europea in cui si faceva
allusione al
fatto che "la trasparenza del processo di decision-making rafforza
la natura democratica delle istituzioni e la fiducia del pubblico nell'amministrazione".
Dall'altra, più recentemente, la Commissione, nella Comunicazione
su "Un nuovo quadro di cooperazione per le attività dell'informazione
e della comunicazione nell'Unione Europea" ha definito l'informazione
come uno "strumento strategico della governance". L'informazione,
infatti, è il primo passo per garantire quella partecipazione politica
attenta, indispensabile per sostanziare un tipo di governance che sappia
coniugare l'efficacia decisionale con la democraticità, attraverso
la partecipazione dei cittadini a tutti gli stadi del dibattito che accompagna
l'attuazione di una politica comunitaria.
Non è facile metter in pratica questi elevati auspici, ma la sfida è concreta e ci coinvolge da vicino.
La questione che ci si è proposti di discutere in questa giornata è quindi complessa e fa riferimento alla:
Queste quindi le questioni alle quali i relatori sono stati chiamati a rispondere.
Ore 9,30: Saluti delle autorità
Coordina: Paolo Meucci (Ufficio per l'Italia del Parlamento europeo)
Ore
10,00
"Europa, Italia e informazione. Conflitto di poteri
o dovere di comunicare?"
Pietro
Caruso (La Stampa-Corriere di Romagna)
Ore 10,20
"Il Comitato economico e sociale: un esempio ante litteram di partecipazione
democratica alle decisioni di Bruxelles"
Giorgio Liverani (Comitato
economico e sociale)
Ore 10,40
"L'informazione europea in Italia"
Fabrizio Grillenzoni (Rappresentanza
della Commissione europea in Italia, ufficio di Roma, e CIDE)
Ore
11,00
Pausa caffè
Ore 11,10
"L'informazione europea in regione"
Giuliana Ventura (Servizio
politiche europee e relazioni internazionali - Regione Emilia
Romagna)
Ore 11,30
" Gli Infopoint in Italia: passato e futuro dell'informazione tra
Commissione europea e Governo"
Gianni Sala (Infopoint - Modena)
Ore 12,10
"Un'analisi empirica della realtà regionale nel campo dell'informazione
europea"
Ciro Avolio (stagiaire Punto Europa)
Ore 12,30
Discussione
Ore 13,00 buffet a Palazzo Mangelli
Coordina: Lorenza Sebesta (Università di Bologna, sede di Forlì)
Ore 14,30
"Efficacia del sistema e partecipazione dei cittadini: spunti interpretativi
del Libro Bianco della Commissione sulla governance europea"
Mario
Telò (Université Libre de Bruxelles)
Ore 15,00
"L'informazione nella riforma della governance europea" Franco
Mosconi (Università di Bologna, sede di Forlì)
Ore 15,30
"Informazione come tool of governance"
Riccardo Scartezzini (Università di
Trento)
Ore 16,15
Tavola rotonda alla presenza di Marco Balboni, Francesca Fauri,
Giuliana Laschi (Università di Bologna, Sede di Forlì).
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